In prigione per 30 anni, dimostra di non avere commesso il crimine, e ottiene un risarcimento di soli 75 dollari.
Protagonista della storia è uno uomo del Tennessee. Nell’ottobre del 1977, una donna di Memphis fu aggredita e stuprata nel suo appartamento da due uomini.
La donna identificò uno degli assalitori come il suo vicino di casa Lawrence McKinney, che al tempo era ventiduenne.
L’uomo fu dichiarato colpevole di stupro e rapina, e condannato a 115 anni in carcere.
Nel corso degli anni, McKinney si è sempre dichiarato innocente, e nel 2008 la svolta.
L’analisi del DNA ha dimostrato che lui era estraneo ai fatti, e grazie a ciò nel 2009 è stato rimesso in libertà, senza molte parole di scuse e con un assegno di 75 dollari.
La questione è che il rilascio anticipato non è stato accompagnato da una dichiarazione di innocenza.
Ora che l’uomo ha fatto appello al governatore per essere formalmente discolpato dal crimine (cosa che aprirebbe la strada ad un più cospicuo, e giusto, risarcimento), la commissione per la libertà vigilata si è opposta all’unanimità.
La commissione, che in queste questioni ha il ruolo di dare un parere non vincolante per il governatore, non si è detta convinta dell’innocenza di McKinney, anche considerando 97 infrazioni che avrebbe commesso durante il lungo periodo in prigione.
L’avvocato di McKinney non nega che l’uomo abbia violato le regole del carcere, ma solo per sopravvivere in quell’ambiente duro che è la prigione.
A complicare le cose anche il fatto che nel 2005 l’uomo ha ammesso la rapina, su consiglio degli avvocati che gli hanno suggerito di confessare qualcosa per accontentare l’accusa nel tentativo di ottenere un rilascio anticipato.
La storia di McKinney ha sollevato nuove polemiche sul trattamento degli afro-americani negli USA: non solo il misero risarcimento ottenuto, ma anche il fatto che il governatore non abbia ancora esaminato il suo caso dopo la richiesta, fatta ormai cinque anni fa, nel 2011.