Checco Zalone, le cinque ragioni del trionfo

Radici
La forza delle radici. È il corollario del complesso del meridionale di cui sopra.

Zalone e il suo fido Nunziante sono rimasti a Bari, senza trasferirsi nelle capitali dell’industria cinematografica italiana.

Né Roma né Milano: perché i due hanno bisogno di quel cordone ombelicale con la propria terra per restare creativi a modo loro. Senza sottostare alle regole e ai compromessi contro i quali sbatterebbero il grugno una volta arrivati nei centri del potere.

Perciò per Zalone è perfetto un produttore sui generis come Valsecchi, che è potente ma non piace troppo all’establishment che distribuisce patenti di autorialità e premi (con la sua TaoDue realizza tutte quelle serie tv che nei salotti buoni fanno inorridire).

Quindi Zalone se ne resta a casa: e in Quo vado? fa pure recitare altre due generazioni di pugliesi, incarnate da Lino Banfi e Maurizio Micheli.

Per pagare con onestà un debito di riconoscenza e per esplicitare orgogliosamente una fiera alterità glocal, che riesce ad essere universale perché ostinatamente radicata.

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